La Banca Centrale Europea, nella riunione tenutasi oggi a Francoforte, ha confermato l’attuale livello dei tassi di interesse di riferimento, al minimo storico. Ma se la decisione di lasciare il costo del denaro invariato era nell’aria (ampiamente), il banco di prova era non monetario, bensì politico: comprendere come Mario Draghi sarebbe riuscito a governare un comitato che appare semper più diviso, e nel quale il principale oppositore, Jens Weidmann, sembra aver una voce in capitolo ben più ampia di quelle che sarebbero le valutazioni superficiali.
Da Weidmann – e non solo lui – negli ultimi giorni erano provenute nuove bordate al timone di Mario Draghi, accusato di eccessivo immobilismo, e “reo” di aver posto le basi ad un pur enorme distacco che separa il trend assunto dagli Stati Uniti (dove la ripresa economica è iniziata da tempo, e si sta facendo di proporzioni sempre più rilevanti) e l’Unione Europea e l’Eurozona (sempre più in crisi). Non solo: a Mario Draghi si para oggi un nuovo esempio lampante, quella Bank of Japan che con una mossa a sorpresa ha annunciato nuovi stimoli che sembrano aver prodotto i risultati sperati – almeno nel mercato azionario.