Risparmi delle famiglie e profitti delle imprese in calo

Ormai lo abbiamo capito, il contesto economico che stiamo attraversando è di forte recessione. Le pagine del nostro giornale online lo vanno ripetendo da mesi snocciolando, nostro malgrado, numeri che parlano da soli. E, purtroppo, è così anche stavolta visto che proprio ieri sono stati diramati gli ultimi dati sulla capacità di risparmio delle famiglie e quelli relativi ai profitti delle imprese che fanno registrare l’ennesimo record negativo. D’altronde la pressione fiscale in forte aumento, il rialzo dei prezzi dei carburanti e di tantissimi prodotti considerati di prima necessità ha contribuito ad abbattere i consumi delle famiglie riducendo, di conseguenza, i profitti delle imprese che, mai come ora, stanno rischiando di chiudere i battenti. Non a caso il primo trimestre dell’anno è stato caratterizzato da un forte aumento delle aziende che hanno dichiarato fallimento portando i libri in tribunale.

Una scelta obbligata, per molti imprenditori, per l’impossibilità di far fronte ai propri debiti contratti in questo ultimo periodo di crisi e per la mancanza di disponibilità, da parte delle banche, di erogare credito nonostante le inondazioni di liquidità concesse dalla BCE. Una situazione estremamente complessa che ha avviato una sorta di spirale che, sembrerebbe, non lasciare scampo all’economia del nostro paese.

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Nel 2011 fallite oltre 11 mila aziende

La crisi continua a far sentire i propri devastanti effetti. Nel 2011, secondo la CGIA, hanno chiuso oltre 11 mila aziende (per la precisione 11.615) che, da sole, hanno contribuito a bruciare oltre 50 mila posti di lavoro. Un dato che dimostra quale sia la diffocltà delle aziende italiane sempre più in affanno per via della fortissima contrazione dei consumi e per la stretta sul credito messa in atto dalle banche che ha limitato fortemente la possibilità di ricorrere a finanziamenti e aperture di credito per superare il momento di difficoltà. Le aziende che hanno sofferto maggiormente nel corso del 2011 sono le piccole imprese, spesso a conduzione familiare e con massimo 4-5 dipendenti. E il trend sembra non voler invertire la rotta nemmeno nel corso del 2012 come testimoniano anche le ultime cronache che hanno raccontato dei suicidi dei piccoli imprenditori del nord.

Tra le regioni in testa alla classifica per il paggior numero di fallimenti, infatti, spicca proprio la Lombardia con oltre 2600 aziende che, nel corso del 2011, hanno chiuso i battenti. Al terzo posto si posiziona un’altra regione del nord, il Veneto, così come al 5° si posiziona l’Emilia Romagna e al 6° il Piemonte. Insomma il nord, a eccezione di Lazio e Campania, rispettivamente al 2° e al 4° posto, ricopre tutte le posizioni alte di questa triste classifica e rappresenta la zona più colpita del paese dai fallimenti delle imprese.

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Allarme Petrolio: possibili rialzi in vista

Brutte notizie dal fronte del petrolio: l’Iran ha diminuito fortemente la vendita di greggio in seguito alle sanzioni della comunità internazionale. Secondo quanto diffuso ieri dal Wall Street Journal le esportazioni di petrolio da parte dell’Iran hanno subito un calo del 14% scendendo di circa 300 mila barili al giorno. Calo che potrebbe diventare anche più consistente qualora, come è probabile, il presidente degli Stati Uniti decidesse di rendere più pesanti le sanzioni. Tutto ciò potrebbe rendere la situazione ancora più tesa contribuendo ad un ulteriore rialzo del prezzo del petrolio che, con la benzina a 2 euro, è un rischio che le famiglie italiane non possono permettersi. Proprio in virtù di queste tensioni internazionali, infatti, il prezzo dei carburanti nel nostro paese (che è già in cima alla classifica dei paesi dove si paga il prezzo più alto per benzina e diesel)potrebbe raggiungere presto valori insostenibili per famiglie e imprese.

Se il caso dell’Iran porterà ulteriormente al rialzo le quotazioni del greggio e il governo dovesse decidere di aumentare ulteriormente l’Iva in autunno le attuali quotazioni di benzina e diesel potrebbero sembrare persino convenienti. Insomma si potrebbe rompere definitivamente il tabù dei 2 euro al litro, valore che molto probabilmente verrebbe superato anche dal diesel.

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Ecco perchè la crisi non è ancora finita

Quando la scorsa settimana lo spread era sceso sotto i 300 punti base sui media italiani aleggiava una sorta di ottimismo che poteva indurre, i meno smaliziati, a pensare che il peggio fosse passato. Invece la crisi è ancora molto lontana dall’essere superata. Questa affermazione non si basa su un’opinione personale di chi scrive ma una semplice deduzione frutto di un’analisi dei dati relativi all’economia reale. Troppo spesso, infatti, i giudizi dei media si fanno abbagliare dall’andamento dei mercati che, in questo particolare contesto storico, non rispecchiano quasi per niente l’economia reale, quella dove si fatica a trovare un lavoro, quella dove le aziende chiudono ogni giorno e dove il numero di paesi a rischio default aumenta invece che diminuire. Leggendo molti quotidiani economici o siti di finanza si poteva pensare che risolto il caso della Grecia i problemi fossero finiti.

Invece ecco che subito dopo si sono accesi i riflettori sul Portogallo e su un’Irlanda a metà strada tra il salvataggio e il rischio di non riuscire a ripagare i debiti. Scopriamo così che l’Olanda, che tanto aveva parlato male dei paesi mediterranei incapaci, a suo dire, di gestire secondo i parametri concordati i propri bilanci, sia uno dei paesi (insieme alla Spagna) che non centrerà gli obiettivi di deficit imposti dall’Unione Europea.

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Paolazzi sulla crisi: le opportunità per l’Italia

Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi di Confindustria, ha illustrato le opportunità che la crisi offre al nostro paese per arrivare ad una svolta epica. Durante l’intervento al convegno “Cambia Italia” dal titolo “Come fare le riforme e tornare a crescere“, Paolazzi ha illustrato come la crisi economica possa rappresentare un punto di svolta per la nostra economia. Secondo il direttore del dentro studi di confindustria, infatti, la situazione precaria che stiamo attraversando da alcuni mesi avrebbe creato i presupposti per avviare alcune importanti riforme di cui il paese aveva bisogno da moltissimo tempo. Secondo i dati del centro studi il benessere dei cittadini italiani si è sensibilmente ridotto a partire dalla seconda metà degli anni 90 e solo attraverso le riforme si potrà invertire la rotta e tornare a crescere.

Senza le riforme le stime di Confindustria parlano di un pil pro capite che sarà di circa 2760 euro nel 2030, ossia di 253 miliardi più elevato di oggi. Tuttavia con le riforme il potenziale di crescita del nostro paese potrebbe essere di ben 872 miliardi di euro, ossia 11.160 per ogni cittadino. Ovviamente si parla di studi che danno dei valori approssimativi ma che possono essere presi a riferimento per valutare i benefici che si potrebbero ottenere qualora vengano attuate le riforme di cui necessita il paese per recuperare competitività rispetto alle altre super potenze economiche.

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Portogallo: è allarme spread

Lo avevamo annunciato con insistenza già qualche mese fa quando ancora nessuno, o quasi, ne parlava. Il Portogallo è in crisi e sembra che sarà il prossimo obiettivo della speculazione dopo la Grecia. In questi giorni, infatti, lo spread del Portogallo si aggira intorno ai 1200 punti base con un tasso di interesse sui titoli decennali che si aggira intorno al 14%. Tanto per fare un esempio, la Grecia (che, di fatto, è in default tecnico) ha uno spread di 1600 punti base. Insomma il Portogallo sembra destinato ad essere la prossima bomba che riaccenderà le tensioni su tutta l’eurozona. Il pericolo, infatti, è quello che in caso di un acutizzarsi della crisi del Portogallo si possano rimettere in discussione anche i miglioramenti ottenuti dal nostro paese rendendo vani tutti gli sforzi fatti fino a dora per normalizzare la situazione e ridare credito all’Europa.

Il pericolo più grande che corre il governo di Lisbona è quello di veder aggravare il proprio debito pubblico per via degli altissimi tassi di interesse ai quali il tesoro è costretto a emettere titoli di stato. Parliamo di tassi a 2 cifre anche per i titoli a breve scadenza: si va da un minimo del 13% per i titoli a 2 anni ad un massimo del 17% per quelli a 5 anni.

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