La “questione meridionale” è stata fonte di tensione sin dall’unione dell’Italia nel 1861. Le sue cause sono controverse, ma le conseguenze sono innegabili. Le regioni meridionali furono chiamate ad affrontare sfide più significative con povertà diffusa, disoccupazione dilagante e infrastrutture carenti rispetto ai loro vicini settentrionali. La politica nazionale è stata a lungo segnata da conflitti regionali.
Secondo Massimo Tavoni, professore di Economia dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e direttore dell’Istituto europeo di economia e ambiente, il cambiamento climatico peggiorerà questa dinamica. “Abbiamo disuguaglianze storiche nel nostro Paese”, ha dichiarato Tavoni in un’intervista. “Quelle disuguaglianze, che sono aumentate in questo secolo, proprio per come funziona l’economia cresceranno ulteriormente a causa del cambiamento climatico, il quale sarà un amplificatore dei rischi che stanno già emergendo a livello sociale”.
Sarà nuovamente “Sud contro Nord”?
Tavoni è stato l’autore principale di uno studio del 2019, il quale prevedeva che il riscaldamento globale avrebbe nel tempo danneggiato l’economia italiana molto più di quanto stimato in precedenza e che la tensione finanziaria risultante rafforzerà le disparità esistenti.
Secondo Tavoni e gli altri partecipanti allo studio, l’aumento delle temperature potrebbe portare a un aumento del 60% della disuguaglianza regionale durante l’ultima metà di questo secolo, concentrando ulteriormente la ricchezza della nazione nel nord.
La ricerca italiana si è basata su un approccio sviluppato per uno studio pubblicato su Nature nel 2015. Tale iniziativa, guidata dall’economista ambientale di Stanford Marshall Burke, ha analizzato i dati di 166 Paesi per il periodo tra il 1960 e il 2010, esaminando le fluttuazioni della produttività all’interno delle singole nazioni tra anni caldi e freddi. La conclusione fu che, quando le temperature salgono oltre una media annuale di 13 gradi Celsius, l’attività economica rallenta sempre più. “La relazione è globalmente generalizzabile, invariata dal 1960, ed evidente per l’attività agricola e non agricola sia nei paesi ricchi che in quelli poveri”, hanno scritto gli autori.
Tavoni e i suoi colleghi hanno utilizzato questa metodologia per creare una previsione dettagliata di come il riscaldamento globale influenzerà la produttività economica in tutta Italia, sfruttando i dati spaziali ad alta risoluzione che sono diventati sempre più accessibili negli ultimi dieci anni.
I loro risultati indicano che, se le temperature dovessero aumentare di 2 gradi Celsius o più nei prossimi tre decenni, il PIL della nazione diminuirebbe di oltre l’8% entro il 2100. In questo scenario, le regioni meridionali e insulari dell’Italia sarebbero quelle maggiormente colpite; il loro PIL potrebbe diminuire fino al 15% entro il 2050 e, successivamente, del 25% entro il 2080. Parti del nord, tuttavia, potrebbero effettivamente vedere una sostanziale spinta economica, con un PIL che salirà fino all’80% entro il 2080.