Per quanto tempo ancora i mercati azionari continueranno a lievitare contemporaneamente all’economia globale? Una risposta arriva direttamente dagli esperti economisti: lotte commerciali, aumenti del prezzo del greggio, tensioni geopolitiche e crisi dei mercati emergenti sono delle serie minacce che non devono essere sottovalutate.
I dazi imposti dal presidente Trump sulle importazioni di acciaio, alluminio, lavatrici e pannelli solari hanno creato delle tensioni con Cina, Canada, Messico e UE. Per adesso l’impatto economico è stato minino; ma se le nazioni colpite risponderanno con ritorsioni commerciali, le cose potrebbero cambiare. La Banca Mondiale ha avvertito che “un’escalation dei dazi a livello mondiale causerebbe forti perdite cumulative equivalenti a quelle sperimentate durante la crisi globale”.
Se le minacce di ritorsione assumeranno connotati drammatici, il rischio è che la crescita economica possa perdere fino ad un punto percentuale, disattendendo le previsioni della Banca Mondiale di un’espansione al 3% nel 2019. L’espansione globale è intimamente connessa alla crescita del commercio globale. Se quest’ultimo viene minacciato, e di conseguenza la crescita, anche i mercati ne risentiranno.
Sempre secondo gli economisti, un’altra minaccia è rappresentata dall’attuale governo politico italiano. La diffidenza è nota, a causa dei grandi piani di spesa previsti. Uno scontro con le regole fiscali dell’UE potrebbe arrivare quando il governo italiano presenterà il suo bilancio. Gli investitori stanno già chiedendo tassi di interesse più alti. Poi c’è l’euro e l’ambigua intenzione del governo italiano verso la moneta unica. Una nuova crisi potrebbe provocare contagio, danneggiare la fiducia delle imprese e rallentare gli investimenti nella zona euro, dove la crescita è rallentata nel primo trimestre del 2018.
Grazie all’aumento delle scorte e dei rendimenti obbligazionari, gli investitori sono stati attratti dagli Stati Uniti. Tutto questo sta causando la fuga dei capitali dai mercati emergenti, con il pesos argentino e la lira turca sottoposte a forti pressioni. Rispetto a gennaio, la valuta brasiliana è in calo del 19%.
Secondo gli economisti, questa tendenza è destinata a durare a causa dell’aumento dei tassi di interesse messi in pratica dalla Federal Reserve, i quali hanno portato le banche centrali dei mercati emergenti a fare la stessa cosa onde evitare che la propria moneta scivoli troppo indietro.
Un’altra questione che suscita preoccupazione è il prezzo del petrolio salito al livello più elevato da tre anni a questa parte il mese scorso. L’aumento ha portato imprese e consumatori a ridurre la spesa per pagare costi energetici più elevati. Una leggera flessione si è avuta quanto i maggiori produttori hanno promesso di estrarne di più per attenuare i problemi di fornitura e prezzo.
Ma, secondo alcuni, il danno è già stato fatto; infatti, la Banca Centrale dell’India si è vista costretta ad aumentare i tassi di interesse. Adesso tutto dipenderà dalle intenzioni di OPEC e Russia sull’aumento della produzione.