In una situazione di precarietà lavorativa, il contratto di stage è sicuramente una delle tipologie contrattuali più utilizzate (e abusate) del momento. Bisogna precisare però che lo stage non rappresenta un vero e proprio contratto di lavoro, ma si tratta più che altro di un’esperienza finalizzata alla formazione del soggetto interessato (lo stagista). O almeno questo è il senso con cui è stato concepito il tutto.
Lo stage viene attivato quando due enti, quello promotore e quello ospitante, raggiungono un determinato accordo. In questo caso l’ente promotore può essere l’università, la scuola superiore, un centro per l’impiego, un centro di formazione professionale, uno studio di consulenza del lavoro, una cooperativa e così via; mentre l’ente ospitante, così come si intuisce dal nome, non è altro che l’ente che formerà lo stagista, e che può essere a sua volta un ente privato o un ente di natura pubblica. Insomma, al di là di chi sia l’ente promotore e di chi sia quello ospitante, resta il fatto che lo stage è sempre e comunque un progetto di formazione.
Non essendo un lavoro vero e proprio, lo stage non prevede una retribuzione a favore dello stagista. E’ comunque la prassi riconoscere allo stagista un’indennità di partecipazione che, sulla base delle Linee guida, non può essere inferiore a 300 euro lordi mensili. Data l’esiguità dell’importo, dal punto di vista fiscale questo ritorno economico non pregiudica la fruizione dello stato di disoccupazione.
Sì, ma quanto dura? Lo stage può durare 6 mesi al massimo nel caso di tirocinio formativo e orientamento, o 12 mesi se si parla di un tirocinio di inserimento/reinserimento o di un tirocinio progettato per dei soggetti svantaggiati (un esempio tipico è rappresentato dai tirocini fatti per i disabili). Per quanto riguarda il resto, vale a dire contributi, ferie e permessi, lo stagista non ha diritto a nulla di tutto ciò. L’unico obbligo che l’ente ospitante ha nei confronti dello stagista è la stipula di un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.