Il presidente Trump ha di fronte due scelte: o continuare a battagliare con la Cina oppure stimolare la crescita economica placando così le paure degli investitori sparsi su tutto il pianeta. Pensare di riuscire a fare entrambe le cose è profondamente sbagliato. Non può più affidarsi alle testimonianze degli economisti, né bollare come false le notizie che parlano di una nuova crisi finanziaria mondiale. Basta che consulti l’unica fonte affidabile: la borsa.
Le banche centrali sono preoccupate. La recessione potrebbe essere ormai un evento inevitabile se non verrà raggiunto un accordo immediato tra le due maggiore economie del mondo. Le notizie che parlano di un imminente incontro non bastano: il rialzo dei prezzi delle azioni è soltanto un effetto momentaneo, effimero. Certo, i mercati azionari sono molto felici quando si parla di accordo commerciale con la Cina. Per un presidente atteso il prossimo anno da una possibile rielezione, questa opzione ha un suo fascino.
Il problema sono le minacce che continuano ad uscire dalla bocca di Trump e che parlano di nuovi dazi sui beni cinesi e della creazione di un nuovo ordine in cui l’industria statunitense si sgancia completamente dalla Cina. Il risultato? Prezzi delle azioni al ribasso e prospettive di crescita economica sempre più ridotte. I complimenti arrivano soltanto da quella parte di elettorato ultra-nazionalista che applaude la guerra commerciale come un affare duro ma necessario.
Questo status poco quo ed eccessivamente instabile è stato confermato la scorsa settimana, quando Trump ha reagito con rabbia all’annuncio da parte della Cina di alcuni dazi ritorsivi del 10% su circa 75 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi. Il presidente USA, in risposta, ha promesso di imporre dazi su circa 550 miliardi di beni cinesi. Oltre a cambiare opinione sul presidente cinese Xi Jinping, definendolo un “nemico”, ha sollecitato le compagnie statunitensi ad abbandonare la Cina ed iniziare a produrre i loro prodotti negli USA.
L’effetto sui mercati di tutto il mondo è stato indubbiamente negativo. Gli investitori hanno iniziato a vendere azioni e comprare obbligazioni, scaricando il vasto assortimento di valute per acquistare il dollaro americano, l’ultima ancora di salvezza nei momenti di preoccupazione. Nel bene o nel male, Stati Uniti e Cina sono talmente radicate nell’economia mondiale da influenzare enormemente le condizioni economiche in ogni dove.
Gli investimenti della Cina si sono spostati in modo intenso negli impianti di produzione, nei porti e nei sistemi di alimentazione per diventare numero uno al mondo nel settore industriale. USA e Cina sono responsabili di circa il 40% della produzione economica mondiale. Quindi, è normale che minacce o presunti accordi fanno il bello e il cattivo tempo.
A pagare più di tutte per la guerra commerciale tra le due superpotenze economiche è stata la Germania, la più grande economia europea. Il PIL barcolla, la produzione latita, i consumi scemano e la recessione è molto vicina. Ad indebolire il Paese sono state le minori esportazioni, rivolte soprattutto in direzione della Cina. Con la guerra commerciale in atto, le fabbriche cinese hanno più problemi ad importare macchinari e prodotti petrolchimici dalla Germania.
Più debolezza in Germania significa minore crescita in tutta Europa, col malessere ormai diventato palese. Con la Gran Bretagna sul piede di partenza, la situazione potrebbe degenerare nel giro di un anno.