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Alitalia, il tentativo di salvarla è solo uno dei campanelli d’allarme che suonano in Italia

Aereo alitalia in volo

Va di nuovo in scena la telenovela chiamata Alitalia. E’ la quarta in un decennio, ma questa volta gli investitori sembrano intenzionati a passare la mano.

L’ultima puntata andata in onda parla di Atlantia, società di infrastrutture e di proprietà della famiglia Benetton, intenzionata ad investire circa 300 milioni di euro per acquisire una quota di partecipazione di Alitalia. L’acquisizione dovrebbe far parte del 30% di una nuova holding, il cui compito sarebbe quello di revisionare la società di trasporti aerei. Nella holding farà parte Ferrovie dello Stato e lo stesso Stato italiano attraverso il Ministero delle Finanze.

Negli ultimi 10 anni, i vari salvataggi che si sono susseguiti sono costati ai contribuenti italiani circa 9 miliardi di euro. Questo nuovo tentativo riuscirà questa volta a porre fine a questa lungo romanzo senza né vinti e né vincitori? Inoltre, pare improbabile che una nuova alleanza di Alitalia con Air France e KLM possa funzionare contrariamente a quanto accaduto dal 2001 al 2007, considerando soprattutto quanto sia competitivo il mercato odierno.

Non è la prima volta che Atlantia partecipa al piano di salvataggio di Alitalia. E’ già accaduto tre volte in passato: nel 2008 a due ricapitalizzazione e nel 2017 ad un revival, poi fallito, che coinvolse Etihand, la compagnia aerea di proprietà di Abu Dhabi.

A minare questa possibile partecipazione di Atlantia sono le tensioni col Governo. La società della famiglia Benetton, attualmente proprietaria delle concessioni per le autostrade italiane, è stata accusata di negligenza quando crollò lo scorso agosto il ponte Morandi a Genova, che causò ben 43 vittime. Il vicepremier Luigi di Maio intende revocare ad Atlantia la licenza entro la fine di agosto. Da parte sua, la società ha sempre sostenuto di aver speso di più per la manutenzione di strade e ponti rispetto al contratto di concessione stipulato.

Carlo Bonomi, capo di Assolombarda, ha messo in guardia sul clima anti-business dell’attuale governo: “Il clima di sfiducia sta bloccando gli investimenti e, di conseguenza, l’industria italiana sta perdendo competitività. Inoltre, rispetto ad altri paesi, la crescita sta rallentando”.

L’ingerenza del Governo nel mondo degli affari ricorda l’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale italiano, creato da Benito Mussolini nel 1933. Alcuni ministri hanno chiesto di utilizzare Cassa Depositi e Prestiti come panacea a tutte le preoccupazioni manifestati da vari settori, da quello bancario e delle telecomunicazioni fino a quello industriale. Negli anni ’80, l’IRI possedeva 1.000 società e aveva impiegato circa mezzo milioni di persone. Poi, le enormi perdite ne causarono la liquidazione nel 2002.

Alcune società importanti, come la Ferrero, Fiat Chrysler e Essilor Luxottica, stanno cercando di spostare la propria sede fuori dai confini italiani. La stessa cosa faranno i Benetton?

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