Le elezioni europee della scorsa settimana hanno generato ciò che tutti si aspettavano: un Parlamento molto più frammentato ma che comunque dispone di un solido zoccolo pro-Europa in grado di respingere al mittente i sicuri assalti provenienti dai sovranisti. Il populismo, nonostante sia ancora una minaccia, ha avuto meno credito in quei paesi dove l’economia mostra segni di ripresa.
Persino in quella che viene considerata come “periferia” (Spagna, Irlanda e Portogallo), dove le forze centrifughe non andavano comunque a gonfie vele, la linea pro-Europa è riuscita comunque ad imporsi, nonostante l’economia stenta a riprendersi. Tuttavia, in Paesi come Francia, Italia e Regno Unito, le cose sono andate diversamente. Quindi, gli avvertimenti vanno sempre tenuti in seria considerazione.
Ma il vero pericolo non viene dall’interno ma piuttosto dall’estero. Se le tensioni commerciali tra Cina e USA, con l’Europa diretta interessata, si tramuteranno in una vera e propria guerra commerciale, l’economia europea quasi sicuramente cadrà nella trappola della recessione. Il rischio non è aleatorio: il 73% delle piccole e medie imprese temono che l’economia peggiorerà nei prossimi due anni, mentre al maggior parte pensa che trattare con la Cina convenga più che con Stati Uniti e Regno Unito, attualmente impelagato nell’annosa questione Brexit.
E’ difficile dire se l’Europa sarebbe in grado di assorbire un tale shock. Da quando è finita la crisi finanziaria e quella del debito pubblico, la crescita economica dell’UE dipende molto dal commercio. Quini, eventuali shock possono mutare drasticamente gli eventi.
Poi c’è il rischio della de-globalizzazione, con un ridimensionamento che sta diventando una tendenza che si sposta oltre la politica nell’economia reale. Frammentazione e ring-fencing sono, nel settore finanziario, un sottoprodotto della crisi. Tuttavia, la de-globalizzazione colpirebbe maggiormente le piccole giurisdizioni piuttosto che quelle grandi.
I responsabili politici europei stanno studiando da tempo il modo per integrarsi ulteriormente, con la finalità di aumentare la capacità di assorbire gli shock esterni. I risultati delle elezioni potrebbero essere visti come un incoraggiamento ad agire.
Negli ultimi anni, i Paesi membri dell’UE non hanno mostrato quella volontà politica di condividere maggiori rischi e distribuirli in modo più equo tra di loro. Ciò a causa di poca fiducia reciproca. Il paradosso è che adesso, per prepararsi meglio ai pericoli della de-globalizzazione, i paesi europei devono avvicinarsi più velocemente. Ci riusciranno?
Per dare vita ad un progetto europeo solido ed efficace, andrebbe fatto un lavoro di immane portata. Tralasciando gli ostacoli più grandi, tipo la creazione di un regime fiscale comune per aumentare la resilienza e favorire una maggiore convergenza, e guardando ad altri progetti importanti, come l’unione bancaria e quella dei mercati dei capitali, lo scenario non appare molto incoraggiante.