Molti proprietari di siti web in Italia, così come avviene nel resto del mondo, vendono la pubblicità dei loro spazi avvalendosi di programmi di affiliazione come Google AdSense. Pochi però si chiedono come mettersi in regola col fisco da questo punto di vista: pur chiedendoselo in pochi, però, questa è una questione effettivamente molto importante, perché per quanto “non convenzionali” i guadagni frutto di AdSense sempre guadagni restano e contribuiscono quindi a definire il reddito di una data persona!
Google dal canto suo se ne lava le mani, poiché si limita, al raggiungimento di determinati requisiti, a saldare quanto dovuto al suo inserzionista e a inviargli una fattura del pagamento. Di conseguenza spetterà a chi riceve i soldi, cioè al proprietario del sito web, dichiarare quei guadagni e mettersi in regola con il fisco.
Se siete in possesso di una partita IVA il problema non si pone più di tanto perché avrete appunto delle fatture di Google che attestano la ricezione del denaro e che potrete utilizzare in sede di dichiarazione dei redditi. E la stessa cosa vale per tutti i principali network di affiliazione, vale a dire TradeDoubler, Zanox e Amazon.
Dichiarare pagamenti Google AdSense senza Partita IVA
La questione vera, semmai, si pone quando il proprietario del sito web è sprovvisto di partita IVA. In questo caso se l’importo annuale incassato da Google è inferiore a 4.800€ si può dichiarare il tutto come “reddito autonomo occasionale” compilando il quadro RL dei redditi diversi: questa procedura non comporterà alcun addebito a vostro carico poiché parliamo di un importo che, secondo le regole vigenti in Italia, è così basso da non poter essere soggetto a tassazione.
C’è da dire però che questo comportamento non è così legale in quanto le ricevute che Google vi invia sono ricevute da prestazione occasionale, ma il vostro, come saprete, non è un lavoro propriamente definibile come occasionale!
Il modello Intra
Inoltre va fatto presente che la fattura emessa da Google deve essere comunicata in sede Intra. Il modello Intra altro non è che un cavillo burocratico introdotto nel 1993 che impone la comunicazione degli elenchi riepilogativi sui dati IVA riguardanti operazioni effettuate nell’ambito dell’Unione Europea. Tale documento deve essere presentato dai soggetti passivi Iva che hanno acquistato o venduto beni/servizi fuori dall’Italia ma pur sempre all’interno dell’Ue.
L’invio può essere effettuato o di mese in mese oppure ogni trimestre a seconda del volume delle operazioni IVA. C’è comunque un percorso di riforma avviatosi in tal senso che mira all’eliminazione dell’Intra2, cioè del documento che riguarda i soli acquisti di beni/servizi in Europa (e non quindi anche le vendite).