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Effetto Jobs Act tra disoccupazione, contratti e salari: è cambiato qualcosa?

Il Jobs Act è entrato in vigore ormai da qualche mese, e come ben sappiamo ha letteralmente stravolto il mondo del lavoro così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. I cambiamenti portati in essere dalla riforma sono stati davvero tanti, ma alla fine dei fatti hanno cambiato qualcosa oppure no in termini di opportunità occupazionali, di dati sulla disoccupazione e sulla ricchezza delle famiglie? Per quanto sia vero che una riforma di questo genere riponga effetti su un termine ben più lungo e che per ritenere attendibili i suoi risultati dovrebbe esserci un sistema-Paese quanto meno un po’ più in salute di quanto sia l’Italia, sembra, sulla base dei dati forniti dall’Ocse, che qualcosa stia effettivamente cambiando.

Disoccupazione: primi e timidi segnali di ripresa

Situazione ad inizio anno – Per quel che riguarda la disoccupazione ed in particolar modo quella giovanile, la situazione è ancora molto preoccupante: i dati parlano di un 42.7% di disoccupazione nell’anno 2014 che rispetto al 2007 è sostanzialmente raddoppiata. Le cose vanno leggermente meglio per quanto concerne la disoccupazione in senso lato, ovvero quella che prende a riferimento l’intera popolazione potenzialmente attiva: i dati di gennaio 2015 descrivono un quadro nell’ambito del quale gli occupati sono 22 milioni e 320 mila, ovvero 11 mila in più rispetto al dicembre 2014 e 131 mila in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ciò scatena due effetti conseguenziali: il tasso di occupazione in salita del +0.3% su base annua e il numero di disoccupati in crescita dello 0.2% rispetto all’anno precedente. Il tasso di disoccupazione è a quota al 12.6%, il che vuol dire che continua in una lenta ma pur sempre costante discesa.

Situazione post Jobs Act – E se le condizioni ad inizio anno sembravano prometter bene, cosa possiamo dire relativamente a questo ultimo periodo dove gli effetti del Jobs Act dovrebbero risultare almeno un po’ più evidenti? Su questo proposito l’Ocse fotografa uno scenario in cui la disoccupazione, a maggio 2015, è del 12.45% (quindi in timidissima flessione rispetto al 12.6% di qualche mese prima).

Assunzioni: è cambiato qualcosa?

A maggio 2015 in Italia i contratti attivi risultavano essere 934.258 che tra cessazioni e assunzioni hanno finito per favorire un saldo positivo: +184.707 posti di lavoro. I posti di lavoro a tempo indeterminato hanno rappresentato il 19% dei contratti stipulati a maggio. Ma il dato sicuramente più importante non riguarda tanto i nuovi posti occupazionali quanto invece la stabilizzazione di quelli che c’erano, ma che fino a quel momento risultavano essere precari: il Jobs Act ha permesso di stabilizzare 30.325 contratti (+43.2% rispetto all’anno scorso), ha visto un calo dei contratti a tempo determinato (dal 70.3 al 68.8%) ed anche una discesa delle collaborazioni (da 5.7 a 3.9%).

Del resto il Jobs Act è stato partorito proprio con l’intento di rendere quello a tempo indeterminato come il contratto unico prevalente e di porre la flessibilità sia in termini di ingresso che in termini di uscita dal mondo del lavoro, anzichè, come accaduto sin’ora, riverberarla sotto il profilo squisitamente contrattuale. Tanto per intenderci si è passati da un regime in cui i contratti erano numerosissimi e precari, ad un mondo in cui c’è più lavoro a tempo indeterminato ma più flessibilità sia sotto il profilo dell’assunzione (da qui il termine di “contratto a tutele crescenti“) sia in termini di licenziamento (pervenuto con le modifiche al famigerato articolo 18).

Salari ancora troppo bassi

Se sul fronte occupazionale le cose sembrano essere in timida ripresa, la stessa cosa non la si può purtroppo dire per quel che riguarda i salari. Su questo fronte, infatti, risulta che il salario medio percepito nel 2014 sia sì aumentato dello 0.8% ma diminuito dello 0.4% se confrontato con l’anno 2007. L’Italia resta perciò in fondo alla classifica dei 34 paesi presi a riferimento attestandosi su un non elegantissimo 20esimo posto: lo stipendio medio di un lavoratore italiano calcolato in 35.442 dollari è dietro quello di Germania (44.007 dollari), Francia (40.917 dollari) e persino Spagna (38.386 dollari). A livello mondiale, i paesi che hanno un salario medio più elevato sono gli Stati Uniti e il Lussemburgo entrambi abbondantemente sopra quota 60mila dollari.

Considerazioni finali

Da tutto ciò si evince un quadro sicuramente a luci alterne ma che difficilmente avrebbe potuto essere schierato su una parte anzichè un’altra: gli scenari internazionali continuano a rimanere quelli che sono ed anche la grave condizione in cui l’Italia versava (ed in un certo qual modo in cui versa tuttora) non danno modo di ambire a risultati poi tanto migliori. Restano ancora tanti nodi da sciogliere in questo sistema-Paese per favorire una ripresa più sicura, decisa e forte: le tasse sul lavoro, per quanto qualcosa sia stato fatto con il taglio della componente Irap, sono ancora tremendamente alte (siamo ai vertici su scala mondiale); la burocrazia è eccessiva (sebbene su questo fronte si stia intervenendo con un piano di digitalizzazione) e le dinamiche economico-finanziarie che ci circondano ancora rigide per potersi dire pienamente riformabili.

L’Ocse stessa ammette che il passo effettuato dal Jobs Act sia significativo, ma come ancora all’Italia serva più incisività nelle riforme. Più coraggio e meno compromessi tesi al ribasso. “Il Jobs Act – asserisce una nota dell’Ocse dedicata all’analisi dell’Italia – aumentando gli incentivi per creare posti di lavoro a durata indeterminata, restringendo le condizioni per assumere con contratti atipici ed estendendo la copertura degli ammortizzatori sociali, rappresenta un importante passo avanti nella riduzione delle disuguaglianze di lungo termine e l’eliminazione della segmentazione”.

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