La risposta che la Grecia ha dato al referendum di domenica 5 Luglio è stata chiara e plateale: OXI. Tradotto, NO. Il popolo greco ha deciso di appoggiare l’opinione del Governo guidato da Alexis Tsipars e di non accettare le condizioni proposte dalla Troika per accelerare il cammino di risanamento dei conti pubblici: condizioni che secondo il popolo devono evidentemente esser state interpretate come troppo stringenti, come lesive dell’autonomia nazionale e come al di sopra delle reali capacità di potervi far fronte. Ma il fatto che Atene abbia bocciato di sana pianta il piano di riforme messo a punto da Bce, Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale a quali scenari apre? Cosa rischia ora la Grecia? E soprattutto, dobbiamo temere anche noi di qualche conseguenza di passaggio?
Vincono i NO: quali scenari si aprono tra Grecia ed Europa?
Molti di noi – anche per merito di una informazione distorta da parte dei media – sono stati portati a credere che la vittoria del NO al referendum greco abbia aperto le porte per l’uscita della Grecia dalla moneta unica e magari anche dall’Europa in sé e per sé. Le cose però non stanno affatto in questo modo, tant’è che lo stesso Tsipras ha chiarito che la nazione da lui guidata non uscirà dalla moneta unica, così come il premier Renzi ha ribadito proprio qualche giorno fa che il referendum greco non si sarebbe dovuto interpretare come un SI o un NO all’euro.
Semplicemente, con la vittoria dell’OXI, la Grecia ha deciso che quel piano di risanamento proposto dai creditori non possa ritenersi accettabile e che quindi, col massimo sforzo comune, ci si debba impegnare per trovare un’altra via che da una parte consenta al Paese di uscire dal rischio di default e che dall’altra possa consentirgli di rimanere ancora parte del Vecchio Continente.
Ma allora cosa accadrà nei prossimi giorni? Accadrà che i vertici coinvolti nelle operazioni di rientro si diano da fare per trovare un’alternativa condivisa a tutti. Tanto per cominciare Angela Merkel ha già fissato un colloquio con Francois Hollande, martedì sarà inoltre fissato un appuntamento straordinario dell’Eurogruppo, mentre il premier italiano Matteo Renzi ha già avviato un colloquio con il ministro dell’Economia Padoan per far in modo che l’Italia possa avere una sua proposta da rilanciare nelle riunioni congiunte con gli altri Paesi. Tutto questo via vai di appuntamenti e anche la frenesia con la quale si tenta ora di rimediare al rimediabile, è volto all’obiettivo primo di lavorare a una soluzione che sia soddisfacente sia per la Grecia sia per l’Europa stessa.
Se dovessimo sintetizzare il tutto potremmo perciò farlo secondo il seguente schema.
L’Eurogruppo accetta di riprendere il negoziato: nel caso in cui i vertici europei dovessero accettare di riprendere le trattative e nell’ipotesi in cui queste dovessero portare a un risultato condiviso, la Bce riaprirebbe i rubinetti del credito a favore delle banche greche e l’aria tornerebbe a farsi più respirabile.
L’Eurogruppo non accetta di riprendere il negoziato: in questa ipotesi la Bce non dà il via libera alla liquidità di emergenza e la Grecia, in assenza di denaro da destinare alle banche e di finanziamenti sufficienti per pagare stipendi e pensioni, potrebbe essere costretta a battere una propria moneta. L’euro diverrebbe moneta estera e il passaggio alla dracma sarebbe praticamente inevitabile.
Grexit: se la Grecia esce dall’euro…
E se va tutto a scatafascio, cosa accade? Come abbiamo già anticipato qualche settimana fa, la Grecia si ritroverebbe costretta a battere una moneta propria aprendosi al rischio (o meglio, alla matematica certezza) della svalutazione: esportare le sarà molto più facile ma importare risulterà sempre più difficile. Inoltre il debito sarà più difficile da risanare poiché questa scalata finirà con l’essere compiuta a fronte di una moneta dal valore assai inferiore rispetto a quello dell’euro. E poi c’è il rischio di innalzamento inflazione (con conseguente riduzione del potere d’acquisto).
Per quel che riguarda gli altri Paesi l’ipotesi negativa attualmente più in voga è quella che, ciascuno di questi e non da meno anche gli stessi organismi economico-finanziari, rischino di veder traballare i soldi che hanno prestato in maniera diretta alla Grecia e anche di veder allontanarsi quel denaro che invece hanno esposto alla Grecia in maniera per così dire indiretta. L’Italia, tanto per toccare con mano la questione, ha un’esposizione economica verso Atene che va dai 30 ai 60 miliardi di euro. Mica briciole.
Ma lo scenario più torbido dato da una possibile Grexit è che possa passare il messaggio che l’Europa non sia più un Continente affidabile, che non sia più quel grande progetto federale a fronte del quale è stata fatta nascere e che il suo euro non sia altro che una moneta a rischio crollo da un momento all’altro: se ogni Paese domani mattina dovesse decidere di mettere a rischio la sua permanenza nell’Unione Europea tramite un referendum, e farlo soprattutto con l’obiettiva impennata del populismo anti-euro in molti Stati membri, passa un messaggio inevitabilmente catastrofico agli occhi del mondo intero.