Con l’ultimo emendamento al Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro, il governo Renzi desidera cercare di semplificare il portafoglio di diversi contratti di lavoro attualmente presenti sul panorama italiano: almeno 40 diverse forme contrattuali, ognuna contraddistinta da forme di tutela e di protezione differenti. Di qui la scelta di riunire tutte le principali forme in un unico ombrello contrattuale, contraddistinto da una “tutela crescente”. In altri termini, con il passare degli anni il lavoratore riuscirà a conquistare nuovi diritti, fino ad arrivare a quelli che attualmente regolamentano i contratti di lavoro a tempo indeterminato.
In realtà, coloro i quali hanno una memoria migliore ben si ricorderanno che si parla di contratto a tutele crescenti già da cinque anni, quando l’esponente Pd Pietro Ichino depositò un testo – insieme a una cinquantina senatori dello stesso partito – con il quale cercare di raccogliere il più ampio consenso possibile, introducendo proprio una forma unica di contratto a tempo indeterminato, le cui tutele potessero in ogni modo essere acquisite gradualmente, con il passare degli anni. Quella bozza di progetto ebbe una vita non fortunatissima ma, in fondo, non sembra esser mai passata di moda, almeno a giudicare la riproposizione in atto.
(A proposito di lavoro: vi siete mai chiesti quanto guadagnano gli italiani?)
Anche nel nuovo contesto normativo, i nuovi contratti sembrerebbero essere applicabili esclusivamente nel mondo del lavoro. Secondo quanto suggeriva l’impianto originario del 2009, nel periodo di prova iniziale (sei mesi), il contratto non deve presupporre indennizzi per il lavoratore licenziato. Con il passare successivo dei mesi, vengono introdotte alcune garanzie come l’applicazione dell’articolo 18 nelle ipotesi di licenziamenti disciplinari o discriminatori. Ancora, nei primi tre anni di rapporto, dopo il periodo di prova, il datore di lavoro potrebbe recedere dal contratto senza motivazione, ma rispettando comunque il periodo di preavviso. Sul lungo periodo le tutele crescono, fino a consolidarsi, appunto dopo 10 o 20 anni.
Qualche mese fa lo stesso Ichino tornò sulla sua proposta, ricordando come “la scelta aziendale del licenziamento resta insindacabile anche dopo il terzo anno, salvo il controllo giudiziale sulle discriminazioni e rappresaglie, ma l’impresa vede crescere gradualmente il costo di separazione, con un obbligo di trattamento integrativo di disoccupazione che rende progressivamente più robusto e di maggior durata il sostegno del reddito garantito al lavoratore e il servizio di assistenza intensiva erogato da un’agenzia di outplacement“.
Per quanto concerne le tempistiche del nuovo contratto a tutele crescente, occorrerà attendere i decreti attuativi: il limite dei tre anni per ottenere le prime protezioni non sembra tuttavia essere troppo utopistico…