Sono abbastanza sconcertanti i dati che dichiarano che due italiani su tre non sappiano cosa sia la filantropia. Molti confondono questa parola, addirittura, con il nome di una fondazione umanitaria. È forse necessario, quindi, fare un po’ di chiarezza. La filantropia che etimologicamente indica un’amore ed un interessamento verso il prossimo, è la costruzione di atti volti ad un miglioramento sociale. Il filantropo è colui che godendo di una posizione privilegiata, orienta tuttavia il proprio agire e le proprie risorse economiche all’altruismo e si fa promotore di cambiamenti sociali ed economici.
La filantropia è molto più diffusa negli Stati Uniti, forse perché essendo questo paese culturalmente da sempre improntato a un liberismo che limitava le misure di welfare, gli imprenditori illuminati hanno da subito sentito la necessità di mettersi a disposizione della collettività.
Ai giorni d’oggi è noto a tutte le cronache come Bill Gates e Mark Zuckenberg hanno entrambi investito parte dei loro capitali per la costituzione di fondazioni e azioni filantropiche, ma questi sono solo i due nomi più famosi, negli States la filantropia infatti è molto diffusa nel mondo imprenditoriale.
In Italia non è altrettanto facile trovare imprenditori che si prodighino in opere filantropiche: abbiamo poche informazioni su imprenditori quali Paolo Basilico di Luxottica, si è interessato all’associazione Oliver Twist, Isabella Seragnoli, imprenditrice bolognese ha creato una fondazione avente il suo nome, La famiglia Guibergia ha creato nel 1993 la fondazione Paideia, destinandole ogni anno il 2% dell’imponibile, e ultimamente abbiamo nuovi aggiornamenti su Francesco Corallo e sul suo impegno nella tutela dell’ambiente e degli ecosistemi.
L’Italia, tuttavia in passato, ha conosciuto dei grandissimi filantropi che hanno fatto la storia e la fortuna di questo paese con la loro straordinaria capacità e passione.
Adriano Olivetti è stato forse il più grande filantropo italiano: facendo proliferare la sua azienda ne reinvestì una parte dei profitti per i bene della comunità e dei suoi dipendenti. Egli tentò la riforma dell’organizzazione nelle fabbriche superando Taylor e Ford, ideando servizi che fossero condivisi tra fabbrica e territorio, dando autonomia ai propri operai e collegi autorganizzati. Nella sua fabbrica non vi era una divisione netta tra ingegneri e operai, e l’azienda accoglieva anche poeti ed aritsti. Olivetti pensava che la felicità e il benessere degli operai avrebbero generato il profitto e improntò tuttala sua vita a cercare di coniugare solidarietà sociale e profitto. Oggi la fondazione che porta il suo nome è tra le più importanti in Italia.
Ma Olivetti non è stato l’unico grande filantropo italiano: Francesco Rizzoli fu nell’ottocento un chirurgo importantissimo. Fu direttore sanitario durante una disastrosa epidemia di colera e alla sua morte lasciò tutti i suoi beni per la fondazione di un ospedale pediatrico.
Mario Negri invece nella prima metà del Novecento finanziò giovani ricercatori in farmacia per le loro ricerche, alla sua morte aveva destinato gran parte del patrimonio per la costituzione di una fondazione di medicina, prevenzione e ricerca.
Potremmo continuare a lungo; nell’ottocento e nella prima metà del Novecento la filantropia era infatti un’attività diffusa tra gli imprenditori italiani e forse è qui che l’Italia dovrebbe guardare per trovare le forze e le risorse per ripartire in questo difficile momento di crisi.