Uno dei problemi maggiori per la nostra economia è l’alto tasso di disoccupazione che stiamo registrando in questi ultimi mesi. Le aziende continuano a chiudere ad un ritmo incessante mentre quelle che rimangono aperte, salvo rare eccezioni, sono costrette a licenziare o a mettere in cassa integrazione pur di superare questo momento di crisi. Per comprendere meglio la gravità della situazione ho provato ad analizzare con un minimo di spirito critico i dati diffusi dall’Istat dal 2000 ad oggi. Il mio obiettivo non è quello di fare catastrofismi o facili allarmismi ma, al contrario, prendere atto di una realtà che, numeri alla mano, appare davvero inconfutabile.
Per rendersi conto della situazione basti pensare che nel 2007 la disoccupazione toccò il minimo storico degli ultimi 13 anni fermandosi al 6,1% mentre per il 2012 l’Istat conferma una disoccupazione di poco superiore all’11%. Ma come è stato possibile tutto ciò? A onor del vero bisogna riconoscere che il problema è generalizzato a gran parte dell’Europa. E anche fuori dai confini europei le altre grandi superpotenze (vedi gli Stati Uniti) non è che se la passino poi così bene. Tuttavia, al di la della questione internazionale, esistono delle colpe “tutte nostre” da cui non è possibile prescindere.
Le aziende italiane, infatti, non si sono evolute rimanendo confinate nelle proprie abitudini che poco si addicono all’economia di oggi. Ma la colpa maggiore, se vogliamo, è delle istituzioni che non hanno saputo o voluto valorizzare il nostro patrimonio tutelando le piccole e medie imprese che rappresentano il vero cardine della nostra economia.
Così ci ritroviamo oggi con un numero sempre maggiore di persone senza lavoro costrette ad arrangiarsi alla “meno peggio” pur di riuscire ad arrivare alla fine del mese. Il tutto con una differenza tra nord e sud che diventa, ogni giorno, più marcata. Analizzando i numeri relativi al 2011, infatti, emerge che l’Italia è letteralmente spaccata a metà. Un esempio: in Emilia, sempre nel 2011, la disoccupazione era del 5,3% mentre in Campania raggiungeva ben il 15,5% Una differenza insostenibile per un paese come l’Italia.
Ma quello che risulta essere più preoccupante è la velocità con la quale la situazione sta degenerando. Andando avanti con l’analisi dei numeri, infatti, emerge che in soli 12 mesi da Dicembre 2011 a dicembre 2012 la disoccupazione è passata dal 9,5% all’11,2%.
Cosa ci attende per il futuro?
Al momento le prospettive per il 2013 appaiono ancora incerte. A livello europeo sono in molti a credere in una prima leggera ripresa a partire dalla seconda metà del 2013 ma il tutto resta ancora poco chiaro.
Per quanto riguarda il nostro paese la situazione non fa emergere ancora dei chiari segnali che si stia andando in questa direzione. La produzione industriale continua a stazionare su valori “allarmanti” (-1,7% a Dicembre 2011 contro i -6,4% di Dicembre 2012) così come le vendite al dettaglio (-3,1% di Novembre 2012).
Al momento, quindi, il nostro paese ha bisogno di riforme strutturali che consentano da un lato di contenere la spesa pubblica e, dall’altro, di ridare nuovi stimoli all’economia magari stimolando l’esportazione dei nostri prodotti di spicco, come quelli relativi alla produzione enogastronomica, o valorizzando l’immenso patrimonio artistico incrementando ulteriormente le entrate del settore turistico.
Il governo che si formerà dalle prossime elezioni dovrà mettere in agenda interventi mirati che restituiscano potere di acquisto al ceto medio (forse il più colpito dalla crisi) e produttività alle aziende che devono tornare a vendere e ad assumere. Una mission se non impossibile quanto meno molto, molto difficile.
Continua a leggere:
- aumenta il ricorso alla disoccupazione ordinaria;
- famiglie, crisi e prestiti: ecco cosa sta cambiando;