Il lavoro in Italia continua a rappresentare un grande problema sia per i più giovani che per i lavoratori in età avanzata. L’Istat ha reso noto che oltre all’enorme numero di disoccupati, che ormai ha raggiunto l’11% della popolazione in età lavorativa, aumenta il numero dei, cosidetti, scoraggiati. Sono circa 1,6 milioni le persone che, avendo cercato a lungo un lavoro finiscono con il rinunciare. Si tratta del numero più alto dal 2004, ossia da quando l’Istat ha cominciato a registrare le serie storiche di questo dato. Questo dato la dice lunga sull’attuale situazione del mondo del lavoro, un mondo sempre più chiuso caratterizzato da aziende che licenziano molto più facilmente di quanto non assumano.
Se, poi, cerchiamo di fare una panoramica a 360 gradi il risultato, se possibile, è ancora più negativo di quanto non si possa immaginare. Se analizziamo l’intero dato sulla disoccupazione italiana scopriamo che le persone senza un impiego sono circa 2,87 milioni.
A queste dobbiamo aggiungere ai 5,6 milioni di lavoratori che, secondo lo studio di Unimpresa, versano in condizioni di grande difficoltà. Si tratta per lo più di lavoratori precari con contratti a tempo determinato e, spesso, part time che con sempre maggiore difficoltà riescono ad arrivare alla fine del mese.
Questi lavoratori oltre ad avere dei redditi decisamente bassi non hanno nessuna prospettiva circa la stabilità del proprio impiego con tutto quello che ne consegue. Non a caso Paolo Longobardi, il presidente di Unimpresa, ritiene che “Sono questi i numeri e gli argomenti su cui ragionare per capire quanto sono profonde la crisi e la recessione nel nostro Paese“.
Cosa ci attende per i prossimi anni?
E le prospettive per il futuro, se possibile, sono ancora peggio. Secondo un gruppo di esperti del settore intervistati da Repubblica.it il prossimo anno sarà ancora peggio del 2012.
Ma di cosa avrebbe bisogno il nostro paese per rilanciare la propria economia puntando dritto alla riduzione della disoccupazione?
Secondo l’economista Pietro Garibaldi: “Servirebbe un canale unico di ingresso nel mercato del lavoro. È l’idea del contratto unico con tutele crescenti. Si potrebbe anche usare la leva fiscale senza però dimenticare i vincoli dei saldi finanziari. Per ridurre il costo del lavoro si potrebbe ricorrere a una svalutazione fiscale: meno oneri sul lavoro e più tasse indirette, cioè sull’Iva. Le buste paga diventerebbero un po’ più pesanti, crescerebbe la domanda e l’export, ma ci sarebbe la sollevazione dei commercianti e dei pensionati contro l’aumento dei prezzi“.
Sempre Pietro Garibaldi dice la sua sulla riforma del lavoro introdotta dal Ministro Fornero sostenendo che gli effetti o non ci saranno o saranno talmente lievi da non produrre miglioramenti sensibili sul breve termine ma, al contrario, bisognerà attendere sul lungo periodo che i provvedimenti sui contratti di apprendistato vengano applicati anche su scala regionale.
Insomma quelli che ci attendono in materia di lavoro e disoccupazione saranno anni estremamente difficili dove la formazione individuale e la capacità di adattamento faranno la differenza.
Continua a leggere: